ALLERGIE ALIMENTARI? parliamone!


Premessa

Questo capitolo del blog tratterà l’allergia alimentare.
Il termine allergia alimentare viene spesso utilizzato in maniera errata per indicare l’intolleranza alimentare. Allergia e intolleranza alimentare rappresentano due condizioni caratterizzate da un corteo sintomatologico variopinto e spesso simile ma sono profondamente distinte dal punto di vista patogenetico.
Nel mondo occidentale la vera allergia alimentare tende a raggiungere dimensioni importanti e a differenza dell’intolleranza alimentare, rappresenta una delle principali cause di anafilassi, un evento drammatico e potenzialmente letale per il paziente.
 In questa grande sfida lo specialista allergologo ha il compito di:
-Delineare un percorso diagnostico appropriato
-Ricercare gli alimenti responsabili e i co-fattori di rischio di un’allergia alimentare
-Indicare le norme di prevenzione, controllare le eventuali comorbidità
-Istruire il paziente con allergia alimentare sull’ autogestione della terapia di emergenza




Cos’è l’allergia alimentare?
L’allergia alimentare rappresenta una reazione avversa del sistema immunitario (reazione di ipersensibilità) nei confronti di sostanze introdotte con gli alimenti, chiamate allergeni alimentari. L’assunzione anche di piccolissime  quantità di allergeni alimentari può indurre nel paziente sensibilizzato una sindrome clinica caratterizzata da manifestazioni di vario tipo e gravità che coinvolgono diversi organi e apparati (gastrointestinale, respiratorio, cardiovascolare, cute). Tali manifestazioni possono, raramente, evolvere verso lo shock anafilattico che rappresenta una vera emergenza medica.
Nel mondo occidentale l’allergia alimentare ha una prevalenza variabile (1 -10%). Il rischio per lo sviluppo di allergia alimentare è più alto nei bambini di sesso maschile, nei soggetti asiatici o afro-americani e nei pazienti affetti da dermatite atopica. Tra i fattori di rischio si elencano  il deficit di vitamina D, la ridotta assunzione con la dieta di grassi poli-insaturi omega-3 e di sostanze anti-ossidanti, l’uso di farmaci antiacidi (farmaci che alterano la digestione degli allergeni alimentari), l’obesità, l’epoca e la via della prima introduzione di un alimento (il rischio incrementa per alcuni allergeni introdotti in ritardo).
Le allergie alimentari sono più frequenti nell’infanzia: latte, uovo, grano e soia possono causare allergie alimentari nei primi anni di vita ma queste allergie tendono a risolversi con la crescita. Viceversa, le allergie nei confronti di alimenti come nocciola, noce, pesce e crostacei tendono a persistere a lungo.

Basi fisiopatologiche
 Ippocrate (4° sec. a.c.) fu il primo a descrivere le reazioni di ipersensibilità ad alimenti, osservando che l’assunzione di latte in alcuni soggetti provocava disturbi gastrointestinali e cutanei. Le nostre conoscenze sui meccanismi eziopatogenetici, sulla diagnosi e sul trattamento delle reazioni indotte dagli alimenti e sulla risposta immunitaria sono tuttavia appannaggio del 20° secolo. Le reazioni avverse ad alimenti si distinguono in due tipi, in base al ruolo svolto dal sistema immunitario nella loro patogenesi: immuno-mediate (reazioni IgE mediate e non-IgE mediate) e non immuno-mediate, dette anche intolleranze alimentari (reazioni di tipo enzimatico, farmacologico, tossico, ecc.). L’allergia alimentare deve pertanto essere distinta dall’intolleranza alimentare.
L’intolleranza alimentare più frequente è l’intolleranza al lattosio, causata dalla carenza dell’enzima lattasi che provoca malassorbimento di lattosio (vedi capitolo del blog “quando il latte fa male….” http://allergolife.blogspot.it/2014/11/quando-il-latte-fa-male.html). Nell’intolleranza alimentare la comparsa dei sintomi è generalmente dose- dipendente, necessita spesso di co-fattori e pertanto non si verifica in maniera costante ad ogni nuova esposizione.
Per comprendere meglio i meccanismi patogenetici dell’allergia alimentare bisogna considerare i rapporti tra il tratto gastrointestinale e il sistema immunitario. Il primo rappresenta un’ apparato estremamente complesso in grado di svolgere diverse funzioni: motoria (trasporto e rimescolamento del cibo), assorbente (assimilazione dei nutrienti, minerali, acqua, vitamine e farmaci), ormonale (sintesi di sostanze ad azione endocrina) e immunologica. La mucosa intestinale si estende per un’area di circa 300 m2 e rappresenta la più vasta superficie nel corpo in grado di interfacciarsi con l’ambiente esterno. Pertanto, il sistema immunitario trova nell’apparato gastrointestinale la sua più ampia rappresentazione.

Si stima che nel corso della vita di un soggetto vengono introdotte nel tratto gastrointestinale più di 100 tonnellate di cibo. Il tratto gastrointestinale oltre a compiere le fondamentali funzioni digestive, svolge funzioni di barriera e immunologiche in grado di limitare l’ingresso nell’organismo di antigeni alimentari che potrebbero innescare reazioni dannose e indurre una risposta immunitaria non controllata. Questa sorveglianza immunologica che prende il nome di “tolleranza orale” è un processo di ipo-responsività indotta e preservata dall’attiva collaborazione di diversi elementi cellulari presenti lungo tutto il tratto gastrointestinale. Il tessuto linfoide associato all’intestino denominato GULT (Gut associated lymphoid tissue), composto da diverse strutture [placche Peyer, appendice, stazioni linfonodali, vari tipi di cellule (T CD8+, cellule gd, cellule linfoidi innate tipo 2, cellule epiteliali, mastociti, monociti CD14+, ecc.] conferisce immunocompetenza e promuove lo sviluppo della tolleranza immunologica orale.
E’ stato ampiamente dimostrato che la tolleranza orale è promossa da diversi fattori come l’allattamento materno e la presenza del microbiota residente (per es., bifidobatteri, lattobacilli) ad attività immunomodulante che influenzano il processo di immuno-conversione dal fenotipo Th2 (fenotipo atopico) a Th1. La rottura temporanea o definitiva dei meccanismi di tolleranza consente ad antigeni proteici di entrare in circolo e stimolare la produzione di anticorpi di tipo IgE diretti contro gli allergeni alimentari.
Nell’allergia alimentare di tipo IgE-mediato, i sintomi sono mediati dall’attivazione delle cellule effettrici primarie delle reazioni allergiche (mastociti tessutali, basofili del sangue periferico ed eosinofili). Il meccanismo classico è basato sul cross-linking di IgE specifiche da parte degli allergeni alimentari che inducono l’attivazione di mastociti intestinali e basofili circolanti o infiltranti la sede della allergia. Questa interazione induce il rilascio di mediatori vasoattivi (istamina, triptasi leucotrieni, PAF, ecc.) che sono responsabili delle manifestazioni cliniche. Le reazioni allergiche di tipo IgE hanno un’insorgenza quasi immediata (entro pochi minuti o poche ore dall’introduzione di un alimento) e possono presentarsi con vari segni e sintomi clinici anche in associazione tra di loro:
- prurito, eruzione cutanea di tipo orticarioide, eczema
- edema labiale, palpebrale o delle mucose (es. glottide)
- dolore addominale, vomito, diarrea
- sintomi nasali, congiuntivali
- tosse, dispnea
- ipotensione, aritmia, sincope
- anafilassi con esito potenzialmente fatale




Nonostante la grande varietà degli alimenti introdotti con la dieta i cibi che più frequentemente causano allergie alimentari sono relativamente pochi: latte, uovo, frutta con guscio (arachide, nocciola, noce, mandorla ecc.), pesce, crostacei, soia, sesamo, cereali, mela, pesca, agrumi. Il tipo di allergene alimentare coinvolto nelle reazioni allergiche è spesso dipendente dalla regione geografica e dalle abitudini culinarie locali: per esempio, negli Stati Uniti l’allergene alimentare più frequente è rappresentato dall’arachide mentre nel continente Asiatico dai crostacei.
Una variante dell’allergia alimentare IgE-mediata è la Sindrome Orale Allergica (OAS). In questa condizione clinica alcuni soggetti con rinite allergica producono IgE specifiche per molecole (epitopi) di derivazione pollinica che cross-reagiscono con epitopi vegetali (frutta/verdura). La sintomatologia è caratterizzata da prurito orale, angioedema e/o dolore addominale e tende a risolversi spontaneamente e velocemente data l’estrema labilità degli allergeni che vengono distrutti dalla degradazione acida nello stomaco durante la digestione.
Nell’ allergia alimentare non-IgE mediata si hanno prevalentemente sintomi a carico dell’apparato gastrointestinale ed in misura minore della cute o dell’apparato respiratorio (per es. sindrome enterocolitica, proctocolite, enteropatia causata da proteine alimentari nei pazienti pediatrici allergici al latte vaccino) nei i primi anni di vita.

Come si arriva alla diagnosi

Secondo una recente rassegna della Società Italiana di Allergologia Asma e Immunologia Clinica (SIAAIC), per accertare presunte allergie o intolleranze alimentari vengono effettuati ogni anno nel nostro paese più di 3 milioni di esami inutili per un costo complessivo di oltre 300 milioni di euro.
Il percorso diagnostico da seguire in caso di sospetta allergia alimentare deve essere indicato dallo specialista allergologo  e si basa:
-sulla valutazione completa dell’anamnesi e dell’esame clinico
-sui test in vivo (Prick test) e/o in vitro (determinazione delle IgE specifiche per allergeni alimentari)
- sui test di provocazione orale con alimenti, considerati molto affidabili essendo caratterizzati da un’alta sensibilità e specificità
- sulle diete di eliminazione che possono essere utili ai fini diagnostici.
Tutti gli altri esami alternativi (esame del capello, esame della forza muscolare, vega test, ecc.) non sono mai stati scientificamente validati e sono del tutto inutili.
La raccolta anamnestica è di fondamentale importanza per chiarire alcuni aspetti che possono già orientare la diagnosi verso una sospetta allergia piuttosto che verso un’intolleranza:
 -Presenza o meno di sintomi analoghi in altre persone (reazione tossica versus allergia?)
-Tipo e quantità dell’alimento ingerito, cottura e conservazione dell’alimento (le reazioni allergiche non sono dose dipendenti e l’allergenicità di alcuni alimenti può essere influenzata dalla cottura)
-Tempo intercorso tra l’ingestione dell’alimento e l’insorgenza della sintomatologia (le reazioni allergiche IgE mediate insorgono molto rapidamente dopo l’ingestione dell’alimento)
-Completa descrizione dei sintomi e della loro durata
-Reazioni simili in passato / misure terapeutiche adoperate (le reazioni allergiche sono riproducibili)
-Necessità di fattori concomitanti (es. allergia alimentare e esercizio fisico, assunzione di FANS)
-Effettuazione o meno di terapie con antiacidi (l’uso di antiacidi può aumentare l’allergenicità di alcuni alimenti)
-Esistenza o meno di altra patologia allergica ( per esempio i soggetti con asma hanno un rischio maggiore  di anafilassi in caso di allergia alimentare)
L’indagine di primo livello è rappresentata dai test allergometrici cutanei (Prick test) per trofoallergeni.
Sono test di facile esecuzione, offrono una risposta quasi immediata (entro 20 minuti circa) e sono relativamente poco costosi. E’ opportuno prestare particolare attenzione agli estratti commerciali utilizzati per i Prick test dato che per gli allergeni alimentari una nota causa di falsa negatività è la perdita di frazioni allergeniche nell’allestimento di estratti commerciali, dovuta alla particolare labilità di alcuni allergeni, specialmente di origine vegetale. Pertanto, per ovviare al problema della falsa negatività dovuta a perdita di frazioni antigeniche nel processo di allestimento degli estratti industriali viene applicata la metodica di Prick by Prick utilizzando cibi freschi, (frutta e verdura).
 Nei bambini più piccoli le dimensioni del pomfo indotto dall’istamina (utilizzata come controllo positivo) e da allergeni, sono ridotte rispetto alle età successive per un minor numero dei recettori per le IgE dei mastociti cutanei con limitato rilascio di mediatori cellulari: esiste pertanto una maggiore possibilità di falsi negativi.
Nonostante questo segnaliamo che I prick test si possono effettuare fin dai primi anni di vita; esiste infatti una buona correlazione tra prick test ad allergia alimentare nel bambino (in particolare per latte e uovo). In caso di persistenza di sintomi con sospetto di meccanismo IgE mediato, è necessario ripetere tale test nelle epoche successive.
Un prick positivo per un allergene alimentare non necessariamente significa che il soggetto abbia dei sintomi scatenati da quel allergene: va distinto il soggetto sensibilizzato (prick test positivo con assenza di sintomi scatenati dall’allergene positivo) dal soggetto allergico (prick test positivo con presenza di sintomi scatenati dall’allergene positivo). E’ quindi estremamente importante l’interpretazione clinica dei prick test da parte dello specialista. Va inoltre ricordato che il prick test per alimenti ha un valore predittivo positivo basso (PPV 50%) ed un valore predittivo negativo eccellente (NPV 95%). Pertanto una sua positività è considerata come probabilità di allergia alimentare da correlare all’anamnesi e al quadro clinico mentre una sua negatività esclude quasi del tutto la possibilità di allergia alimentare per un determinato trofo-allergene.
La determinazione delle IgE specifiche per alimenti  (con  tecnica Immunocap oppure RAST -Radio Allergo Sorbent Test) rappresenta la metodica di secondo livello per la diagnostica delle allergie alimentari.
Questa metodica ha una sensibilità (valore predittivo negativo) paragonabile al prick ma a differenza di quest’ultimo ha buoni livelli di specificità (valore predittivo positivo). Il test è in grado di dosare le IgE specifiche per un dato allergene in maniera quantitativa in un range tra 0 e 100 KUA/L. La determinazione delle IgE specifiche è effettuata con un prelievo ematico e viene occasionalmente praticata come prima indagine diagnostica in caso di pazienti con:
Ø  malattie cutanee e/o dermografismo
Ø  pazienti pediatrici, poco collaboranti
Ø  storia di anafilassi verso l’alimento da testare
Ø impossibilità di sospensione della terapia anti-istaminica o cortisonica

Più recentemente è stata introdotta la tecnica di Component Resolved Diagnosis (CRD) che si avvale dell’ impiego di tecniche di biologia molecolare per caratterizzare il profilo allergenico individuale di un paziente.
Trattasi dell’identificazione dell’entità molecolare verso la quale il paziente è sensibilizzato (es. LTP, profiline, PR10 ecc.) nell’ambito della sorgente allergenica (es. pesca, uovo ecc.).  La CRD costituisce una metodica innovativa in grado di discriminare tra sensibilizzazioni genuine e cross-sensibilizzazioni e consente di discriminare tra componenti allergeniche stabili responsabili di reazioni sistemiche e componenti allergeniche labili, in grado di indurre reazioni meno gravi. Nell’ambito della CRD l’ISAC (Immuno-Solid-phase Allergen Chip) costituisce un test multiplo, microarray, per la valutazione simultanea delle IgE specifiche per molecole allergeniche purificate. L’ISAC è costituito da più di 100 allergeni provenienti da numerose fonti allergeniche, utilizza una minima quantità di siero e rappresenta un mezzo diagnostico scarsamente invasivo in grado di fornire all’allergologo un preciso profilo di sensibilizzazione del singolo paziente. Va sempre ricordato che la diagnostica allergologica molecolare richiede idonee conoscenze da parte dello specialista per essere applicata nella pratica clinica.
Ancora più recente è l’introduzione di un’ altro test diagnostico il Faber test. Faber è stato sviluppato grazie all'uso delle nanotecnologie: gli allergeni sono infatti accoppiati a piccolissimi supporti (nanobeads), utilizzando diversi tipi di legami chimici e ottimizzando la coniugazione delle proteine allergeniche con il supporto. Il dispositivo è costituito da un biochip con  244 preparazioni allergeniche: 122 molecole e 122 estratti provenienti da circa 150 differenti fonti allergeniche (alimenti, pollini, acari, epiteli, muffe, lattice, veleni di api e vespe, tessuti). Il test, che prevede l'uso di siero o plasma umano, è in grado di fornisce i risultati al paziente e allo specialista anche online tramite  cartella clinica elettronica  (www.allergome.org).

Esistono cure per l’allergia alimentare?

L’approccio terapeutico fondamentale delle allergie alimentari consiste nell’ accurata eliminazione dell’alimento incriminato ed eventualmente nel trattamento delle reazioni allergiche derivanti dall’ingestione degli alimenti.
E’ fondamentale educare il paziente sulle modalità di prevenzione:
-         leggere attentamente le etichette degli alimenti
-  richiedere l’elenco completo degli ingredienti quando si consumano pasti fuori casa

In caso di ingestione accidentale la terapia farmacologica somministrata dipende dal tipo e severità dei sintomi accusati dal paziente.
I sintomi cutanei (prurito, eruzione cutanea, ecc.) possono essere trattati con farmaci anti-istaminici di seconda generazione (per es. cetirizina, levocetirizina, desloratadina, rupatadina, ebastina, bilastina).
Le manifestazioni respiratorie possono essere trattate con farmaci broncodilatatori al bisogno (per es. salbutamolo) e glucocorticoidi per os (prednisone, metilprendnisolone ecc.).
In caso di pazienti con pregressi episodi di shock anafilattico, è opportuno educare i pazienti sulla modalità della somministrazione di farmaci salva-vita come l’adrenalina autoiniettabile (per es. Fastject).
La somministrazione tempestiva di adrenalina può risolvere rapidamente sintomi correlati a edema laringeo, broncospasmo, ipotensione o sintomi gastrointestinali ed è fondamentale nella prevenzione delle eventuali complicanze fatali.
Una percentuale variabile (1-20%) di pazienti con allergia alimentare ha reazioni anafilattiche di tipo bifasico che si possono ripresentare entro poche ore dalla prima risoluzione della sintomatologia anche dopo la somministrazione di adrenalina. E’ questo il motivo per il quale è richiesto un attento monitoraggio dei sintomi e un’osservazione in ambiente protetto per oltre 24 ore dopo un episodio di anafilassi.
Studi recenti hanno prospettato la somministrazione di un anticorpo monoclonale anti-IgE (omalizumab) per il trattamento di forme severe di allergie alimentari. Inoltre, sono in corso studi sull’impiego di anticorpi monoclonali anti-IL-5 nelle forme non-IgE-mediate caratterizzate da infiltrazione eosinofilica (per es. esofagite eosinofila).
I farmaci finora elencati possono controllare i sintomi dell’allergia alimentare, ma non modificano il disordine immunologico sottostante. Recenti ricerche suggeriscono che l’immunoterapia allergene specifica, somministrata per via sublinguale, orale o epicutanea, potrebbe essere utile in futuro nel prevenire e curare l’allergia alimentare. L’obiettivo della immunoterapia è quello di raggiungere una condizione di tolleranza permettendo ai pazienti di assumere l’allergene senza il verificarsi di reazioni avverse.






Voci bibliografiche

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3)     Stacie M. Jones, M.D., and A. Wesley Burks, M.D : Food Allergy. N Engl J Med 2017; 377:1168-1176





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